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Nel nitore di uno stile di particolare intensità, Margherita Bazzocchi invita il lettore a una raffinata esperienza di spaesamento: nel pentagramma dei suoi cinque racconti muove da un taglio proprio del realismo ma per trasfigurarlo via via in una narrativa dell’assoluto, tesa a inseguire la dimensione del mito, ovvero i significati profondi dell’essere e dell’accadere.
Così, in Scordar di me, racconta il destino di un’arte non compresa, il dramma del poeta le cui parole non trovano ascolto; in Sorelline propone una sorta di parabola nella quale l’usuale e quotidiano accadimento del salutarsi assume le proporzioni drammatiche dell’abbandono, e così anche in Fine di un intero, ove il semplice giornaliero salutarsi richiama il dramma della «densa disperazione della solitudine».
Nei due racconti lunghi (quasi tentassero le vie del romanzo) Margherita racconta ugualmente non diversi slittamenti: nella singolare storia proposta da La trasgressione, l’ambiguità del rapporto con due enigmatici scrittori determina nella protagonista un tale senso di alienazione da distorcere la realtà che la circonda, rivelando le contraddizioni e le stranezze di una mente sofferente; in Allegoria dell’eremita, ove più decisivo è lo slittamento dalla realtà al mito, la protagonista rifiuta la civiltà urbana per scegliere la vita dell’eremita, dove è possibile persino incontrare figure mitologiche, se pur nella scoperta, anche in loro, di una tragica decadenza.
Una prosa intensa e consapevole regge lo snodarsi dei racconti e la celebrazione dei loro miti.